Trascurare governance, persone ed efficienza mette a rischio il Servizio Giustizia, anche in presenza di ingenti risorse.

L’inaugurazione dell’anno giudiziario si svolge in un periodo caratterizzato da riforme organizzative e procedurali di rilievo.

La massiccia disponibilità di risorse finanziarie del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stata impegnata nell’assunzione di migliaia di nuove unità di personale, principalmente nell’Ufficio per il Processo.

Questo immane sforzo ha contribuito a produrre risultati in linea di massima positivi in termini di definizioni di processi e riduzione dell’arretrato, dimostrando una crescita dell’efficacia della funzione giurisdizionale.

Tuttavia, come Dirigenti dell’organizzazione giudiziaria, esprimiamo timori per possibili distorsioni.

La crescita esponenziale della spesa, derivante dalle risorse aggiuntive del PNRR, solleva domande critiche.

È stata valutata la proporzionalità tra i risultati ottenuti e l’aumento della spesa?

La concentrazione di personale presso gli Uffici per il Processo, a scapito delle cancellerie e degli uffici amministrativi di supporto, è realmente una scelta strategica razionale per l’impiego delle risorse?

Per la sostenibilità nel tempo dei risultati crediamo non possa confondersi l’efficacia (incremento dei risultati) con l’efficienza (rapporto tra risultati e risorse).

Emergono preoccupazioni, sulle conseguenze della temporaneità dell’UPP, legata all’orizzonte di piano del PNRR del giugno 2026, e sull’efficacia complessiva di un modello tutto concentrato sulla produttività del magistrato.

La domanda di Giustizia si soddisfa non soltanto con un aumento delle decisioni e una riduzione dei tempi, ma anche attraverso una tempestiva comunicazione dei provvedimenti, una gestione efficiente della fase esecutiva, un attento presidio della qualità del dato nei flussi documentali digitali.

Tutto ciò richiede leadership e capitale umano nelle varie fasi lavorative, non soltanto nell’ambito immediato dell’attività del magistrato.

Sebbene si apprezzino alcune scelte fatte nella revisione del PNRR che contempla altre assunzioni a tempo determinato per 4000 unità, emerge la constatazione che il personale stabile nella giustizia, di età media troppo elevata, è ad oggi ancora carente di più di 10.000 unità.

L’allarme trova ulteriori argomenti nel capitolo dedicato alla Giustizia nella legge di bilancio 2024.

Al netto dei cospicui finanziamenti dedicati alla retribuzione della magistratura onoraria e di misure che spacchettano e moltiplicano uffici e direzioni generali, si registra la mancanza di interventi per assunzioni stabili di personale nell’amministrazione e negli uffici giudiziari.

E riteniamo per niente sostenuta l’attrattività del lavoro pubblico nella amministrazione della Giustizia, che necessita fortemente di efficaci strategie di “employer branding”, nel senso indicato dal Ministro della Pubblica Amministrazione.

Cercando di capire veramente perché tante persone, e non soltanto chi ha un contratto a tempo determinato, ci lasciano per altre amministrazioni.

Negli ultimi anni è emersa per di più una allarmante mancanza di un effettivo coordinamento nazionale e della coesione tra Ministero, CSM, Uffici Giudiziari.

La digitalizzazione, sebbene cruciale, sta assumendo un indebito ruolo decisionale, che nega l’ascolto e trascura le necessità del territorio e degli operatori del diritto.

La configurazione di un Dipartimento, separato dall’organizzazione e dagli uffici giudiziari, per la transizione digitale, la statistica, l’analisi organizzativa e le politiche di coesione, evidenzia una priorità tecnica a discapito delle altre esigenze della Giustizia.

La presenza predominante nello stesso Dipartimento di vertici e dirigenti tecnici amplifica la carenza di comprensione delle norme processuali, delle esigenze di governance del sistema, delle complesse prospettive dei vari attori nel mondo della giustizia (magistrati, dirigenti, personale amministrativo, avvocati).

Riteniamo anche che sia illusoria la convinzione che il processo telematico possa comportare il superamento di figure professionali di profilo elevato, diverse da magistrati e avvocati.

Persino il CSM, nel suo parere sulla bozza del DM 217 del 2023 sulle nuove regole tecniche del processo telematico, ha lanciato un inascoltato allarme sull’emarginazione del ruolo del personale amministrativo, che rischia di complicare il lavoro degli stessi magistrati.

Una costruzione - partecipata dalla dirigenza – del nuovo ordinamento professionale del personale amministrativo, potrà invece contribuire a rilanciarne la funzione nella transizione digitale.

A nome dei colleghi dirigenti operanti nelle diverse strutture dell'Amministrazione giudiziaria, desideriamo porre all'attenzione del decisore politico e del Ministro della Giustizia anche criticità più immediatamente legate al nostro ruolo

La carenza di nuovi dirigenti è da troppo tempo un’emergenza che non vede soluzione.

La ricerca da tempo evidenzia un’età media superiore a 55 anni per i dirigenti pubblici italiani, tra gli ultimi in Europa in questa classifica.

L’amministrazione della giustizia registra oltre ad una età media ancora più elevata, incredibili scoperture dell’organico di circa il 60%.

Sono troppi anni che registriamo - in compenso - una tendenza che favorisce la crescente presenza nelle posizioni di vertice di magistrati fuori ruolo e dirigenti "a contratto".

Questo approccio, spesso opaco e in contrasto con il principio costituzionale del pubblico concorso, ha contribuito a questi intollerabili ritardi nel reclutamento della dirigenza di carriera nell'Amministrazione giudiziaria.

In tale contesto, l’assegnazione di incarichi ministeriali ad avvocati o a professori rischia di favorire ancor di più l’abbandono della via maestra del reclutamento di dirigenti pubblici nel ministero della Giustizia.

Ciò, mentre il tanto atteso decreto delegato sulla riforma dell’ordinamento, ora in parlamento per i pareri delle competenti commissioni parlamentari, non va nella direzione giusta. Con detto decreto si porta a sistema, invece che ridurre, la tanto criticata prassi della destinazione dei magistrati a funzioni amministrative di vertice anche nel Ministero della Giustizia.

Anche il modo in cui è stato attuato l'Ufficio per il Processo, in particolare attraverso il decreto legislativo n. 151 del 2022, contribuisce a svilire ruolo e dignità della funzione dirigenziale della giustizia.

Si è introdotta una traslazione della gestione del personale, inclusi personale di cancelleria, tecnici, tirocinanti ecc., dalla dirigenza – pericolosamente deresponsabilizzata - verso i magistrati capi degli uffici.

Così come produce sconcerto il mancato riconoscimento del ruolo della dirigenza amministrativa nella gestione delle risorse materiali, previsto senza alcuna ambiguità dal dall’art. 3 del D.lgs. 240 del 2006.

Ai dirigenti amministrativi continuano, invece, ad essere assegnati compiti meramente esecutivi, come quelli conseguenti alla nomina di commissario ad acta per i pagamenti della legge Pinto, incoerenti con gli obiettivi di performance assegnatici.

Nella prospettiva di evitare che i dirigenti dello Stato rifuggano da incarichi nella Giustizia, dobbiamo anche evitare di continuare a detenere ancora il primato negativo dei dirigenti peggio pagati di tutta la Pubblica Amministrazione.

Per questo è ineludibile superare i ritardi che ancora si registrano nei pagamenti della retribuzione di risultato e completare la armonizzazione del nostro trattamento retributivo accessorio, sinora impedita dall’inattuata revisione delle posizioni dirigenziali e delle fasce retributive.

Rivolgiamo in conclusione, un appello pubblico, affinché la Dirigenza dello Stato possa come necessario contribuire nell’Amministrazione della Giustizia alla costruzione di un futuro più equo, sostenibile e attrattivo.