Milano, 11 ottobre 2022

Sig.ra Vicedirettrice di “Questione Giustizia” Dottoressa Ezia Maccora Componente del comitato di redazione per l’area tematica “Ordinamento”

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Sono apparsi sulla rivista “Questione Giustizia” alcuni contributi sulla discussa questione del collocamento “fuori ruolo” dei magistrati chiamati a ricoprire incarichi dirigenziali di natura amministrativa presso il dicastero della Giustizia (e non solo), peraltro oggetto, in termini più restrittivi, della recente legge delega sull’Ordinamento Giudiziario n. 71 del 2022.

In particolare, in uno di questi – a firma Claudio Castelli e intitolato “Contro la demonizzazione dei magistrati fuori ruolo” – si individua esplicitamente tra le cause dell’amplificazione del fenomeno dei magistrati fuori ruolo la “debolezza” della dirigenza pubblica in generale e la “timidezza” di quella amministrativa presente nella Giustizia, in particolare.

Quali dirigenti amministrativi del Ministero della Giustizia riteniamo di dover replicare con un contributo, di cui chiediamo la pubblicazione.

PREMESSA

Siamo ben consapevoli che, nella amministrazione giudiziaria, la dirigenza amministrativa deve integrarsi, a tutti i livelli, con quella giudiziaria: quando le distinte, ma interconnesse, funzioni dirigenziali, sono esercitate con competenza ed intelligenza da entrambe le parti, si raggiungono risultati sempre positivi.
Conseguentemente condividiamo l'opportunità di organizzare percorsi formativi congiunti, permanenti e non episodici, per dirigenti magistrati e dirigenti amministrativi.

Riteniamo tuttavia che, proprio per questo, considerare quella amministrativa della giustizia una dirigenza “timida”, debole e poco autorevole - estendendo per di più queste poco lusinghiere valutazioni a tutta la dirigenza pubblica - non sia il viatico giusto per un comune percorso di crescita, né può migliorare i rapporti tra due ruoli professionali entrambi essenziali per l’organizzazione giudiziaria.

Dopo lo sforzo profuso in questi anni dal nostro ceto professionale in termini di impegno ed assunzione di responsabilità, ci saremmo aspettati – lo diciamo con franchezza – una diversa “apertura di credito” in termini di considerazione professionale.

Evidentemente gli esami per un pieno riconoscimento delle funzioni e del ruolo della dirigenza amministrativa nella Giustizia non finiscono mai!

UNO SGUARDO AI NUMERI

In un ulteriore articolo “La nuova disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati”, pubblicato su Questione Giustizia a firma Daniela Cardamone, si precisa che il numero dei magistrati fuori ruolo (attualmente previsto in 200) risulta, rispetto alla platea dei magistrati in servizio negli uffici giudiziari, contenuto in un esiguo 2%. Ove richiamato in servizio, tale ridotto numero non inciderebbe in modo significativo sulle performance degli uffici giudiziari che lamentano complessivamente una scopertura degli organici del 15%.

Viene cioè considerato non particolarmente problematico il numero di 80 magistrati allocati presso il Ministero della Giustizia e di altri 50 presso altri dicasteri1.

In merito ci permettiamo di osservare, lapalissianamente, che la giustizia costituisce una delicata funzione primaria dello Stato, perché incide su aspetti essenziali della vita dei cittadini.

Orbene, considerando che un Tribunale di medie dimensioni conta la presenza di circa 50 magistrati e che si possono stimare in varie decine di migliaia gli affari definiti annualmente da un simile ufficio giudiziario, si può concludere che l'assenza di un tale numero di togati neghi annualmente risposta alla domanda di giustizia di qualche centinaio di migliaia di cittadini2.

Né vale l'obiezione secondo cui quegli affari vengono comunque trattati da altri magistrati perché agli addetti ai lavori è ben noto come il trasferimento e/o collocamento fuori ruolo di ogni magistrato comporti una redistribuzione del ruolo tra i colleghi, determinando inevitabili ritardi nei tempi di definizione di ogni affare.

In tal modo, si finisce, cioè, per frustrare la legittima domanda di giustizia di tanti cittadini, dalla quale dipendono destini economici o di vita.

Peraltro, il fenomeno costituisce anche un fattore regressivo di quel disposition time che l’U.E. ci impone di ridurre per poter concederci i fondi del PNRR; obiettivo per il quale sono stati assunti recentemente circa 8.250 funzionari addetti all’UPP, mentre paradossalmente continuano a mancare all'appello di questa vera e propria “chiamata alle armi per i tempi della giustizia” gli oltre 100 magistrati assegnati a funzioni amministrative.

L’ASPETTO ECONOMICO

Si è detto che ai magistrati fuori ruolo compete un trattamento economico non dissimile da quello degli altri direttori generali contrattualizzati con l’opzione tuttavia di poter, in alternativa, conservare il proprio trattamento economico maggiorato di un'indennità supplementare del 25%.

È tuttavia proprio su tale aspetto che dovrebbe concentrarsi l'attenzione sotto il profilo di un potenziale danno erariale che tale opzione può comportare.

Tra i magistrati fuori ruolo figurano infatti anche titolari di incarichi dirigenziali di seconda fascia, per non citare i cosiddetti “magistrati addetti” non si sa bene a cosa, dal momento che non ricoprono alcun incarico dirigenziale, neanche di livello non generale.

Ebbene, è fuor di dubbio che questi magistrati continuano a percepire la propria retribuzione, comprensiva di accessorio, notoriamente superiore (dopo le prime valutazioni di professionalità) a quella percepita dai dirigenti di seconda fascia.

Insomma, lo Stato remunera i magistrati fuori ruolo con stipendi da togati (più elevati) per ricoprire incarichi – di dirigente o funzionario apicale - per i quali sono previsti emolumenti inferiori.

LA DIRIGENZA PUBBLICA

Ma l'argomento su cui sembra ruotare la difesa dell'an e del quantum dei magistrati fuori ruolo, specie della Giustizia, è incentrato sull'assunto secondo cui “la debolezza della dirigenza pubblica porta a ricorrere ai magistrati anche per ruoli che potrebbero essere svolti da una dirigenza amministrativa forte. Non è un problema di privilegiare i magistrati rispetto ad altre figure, ma di arrivare ad una dirigenza pubblica formata e qualificata.”3

In buona sostanza, secondo quest’assunto, una dirigenza pubblica debole e poco qualificata renderebbe necessario il reclutamento di magistrati cui affidare incarichi dirigenziali.

Al di là del giudizio ingeneroso nei confronti della dirigenza pubblica, quel che non convince è proprio l'assunto secondo cui la dirigenza affidata a magistrati sarebbe ex se e di converso forte, autorevole e prestigiosa rispetto alla dirigenza professionale, mancando una dirigenza che “possa essere vissuta come la spina dorsale dell'amministrazione.”

Di per sé, non è semplice formare una classe dirigente preparata in grado di affrontare le sfide di una pubblica amministrazione che sia all'altezza di un paese civile e moderno.

Occorre partire da procedure concorsuali in grado di selezionare non solo (e non tanto) le migliori competenze giuridiche, quanto anche, e soprattutto, saperi “altri” che costituiscono il bagaglio culturale di un manager pubblico, esperto nella governance del complesso di risorse umane e strumentali che gli viene affidato per il raggiungimento di fini pubblici4.

Inoltre, è necessario corredare queste conoscenze con specifiche competenze acquisite attraverso percorsi formativi presso la SNA che, ricordiamo, è altra cosa rispetto all’ENA francese - contestualizzata in un sistema storicamente e culturalmente diverso - ma ugualmente prepara in modo autorevole e consapevole i nuovi dirigenti, oltre a offrire percorsi formativi permanenti a chi dirigente pubblico lo è già5.

Queste conoscenze (sapere), competenze (saper fare) vanno arricchite con le abilità comportamentali (sapere essere) che l’esperienza dirigenziale, praticata “sul campo”, permette di acquisire.

Tutto questo è oggi, al di là di ogni giudizio sulla dirigenza pubblica, l'iter selettivo, formativo ed esperienziale di un dirigente pubblico che si incentra su competenze tipiche del management pubblico, visto come un complesso di conoscenze/esperienze di tipo organizzativo, economico, comunicativo ed anche (ma non solo) giuridico.

Al contrario il percorso selettivo, formativo ed esperienziale di un magistrato, specie nei primi 10/15 anni della carriera (rilevanti per quanto si dirà dopo), risulta totalmente differente.

I magistrati sono selezionati attraverso una rigorosa procedura concorsuale che saggia essenzialmente (rectius esclusivamente) le loro conoscenze giuridiche. Nessuna delle materie e tematiche in precedenza richiamate è minimamente oggetto delle prove scritte ed orali di quel concorso.

Successivamente i MOT seguono un lungo periodo di tirocinio, generico e mirato, costellato da eventi formativi presso la SSM. Questo percorso formativo è tuttavia prevalentemente incentrato su competenze giuridiche che vengono approfondite ed affinate.

Comunque, il magistrato, immesso nelle sue funzioni, svolge la sua attività di juris dicere, applicando la legge al caso concreto, attraverso la acquisita competenza giuridica e per giunta spesso in perfetta solitudine per via della tendenziale monocraticità dei riti voluta dalle riforme succedutesi nel tempo. Dunque, senza o con scarso esercizio al team building e/o gioco di squadra che invece costituisce uno dei capisaldi delle competenze dirigenziali.

È sufficiente confrontare questi diversi percorsi selettivi, formativi ed esperienziali delle due categorie professionali per rendersi conto che la dirigenza pubblica affidata a magistrati non sia affatto, di per sé, garanzia di autorevolezza, forza e competenza rispetto alla dirigenza professionale, perché difetta degli elementi tipici caratterizzanti il public management.

Il che non solo dimostra la non fondatezza dell'assunto da cui si è voluto partire, ma semmai porta alla conclusione opposta.

E ciò è tanto più vero, ove si consideri che molti magistrati assegnatari di incarichi dirigenziali, specie a via Arenula, non hanno sino a quel momento neanche mai ricoperto incarichi direttivi e semi direttivi negli uffici giudiziari6. Anzi spesso l'esperienza dirigenziale amministrativa per questi magistrati è soltanto un viatico per raggiungere la (legittimamente) ambita direzione di uffici giudiziari.

Tanto, pur dando doverosamente atto degli apprezzabili risultati conseguiti da talune articolazioni gestite da dirigenti magistrati. Purtroppo, però, qualche rondine non fa primavera!

LA LEGGE DI RIFORMA

Riteniamo, per le argomentazioni sin qui esposte - in primis con riferimento alla ineludibile necessità di restituire ai Tribunali ed alle Corti, in questo delicatissimo momento, il maggior numero possibile di togati - che un giro di vite all'accesso di tanti magistrati ad una temporanea esperienza dirigenziale amministrativa sia necessario. Come anche stabilire criteri stringenti che identifichino le (poche) tipologie di incarichi dirigenziali che, per loro natura, necessitano esclusivamente delle

competenze proprie di un magistrato, secondo una possibile gerarchia come quella indicata dall'art 5 lett d) della legge di riforma n. 71 del 2022.

Certo occorrerà fugare il rischio della suggestione del cosiddetto Court Manager, che si concretizzi in incarichi affidati a terzi, per un verso, bypassando procedure concorsuali7, per un altro, ignorando competenze ed eccellenze, pur rinvenibili nel perimetro della dirigenza pubblica di carriera (o comunque da far maturare all’interno di questa).

Non depone favorevolmente, a tal fine, l'eccessivo ricorso ai dirigenti “a contratto” (art. 19, comma 6°, d.lgs. n. 165 del 2001), registratosi negli ultimi tempi e inaugurato nel 2016 dalla DGSIA con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Per scongiurare le opacità di tali tipi di incarichi, occorrerà tornare a puntare sulla dirigenza pubblica di carriera, anche tecnica, investendo maggiormente nella formazione e avviando un serio progetto di reclutamento di dirigenti, specifico per la Giustizia, per evitare che la categoria si avvii a lenta scomparsa per “estinzione” (a meno che non sia proprio questo quel che si vuole!).

Soltanto tutto ciò consentirà alla dirigenza amministrativa nel Ministero della Giustizia di rafforzarsi, e in sinergia con la magistratura, arrivare a buoni risultati, a patto che... ognuno faccia il proprio mestiere.

Distinti saluti

Per il Direttivo dell’Associazione Dirigenti Giustizia il Presidente
Nicola Stellato

Cifre al netto dei magistrati che ricoprono ruoli elettivi, impegnati presso organi costituzionali e organismi internazionali.
Calcolando almeno 2 cittadini per ogni procedimento definito; ciò partendo dall’astratto assunto statistico secondo cui ogni controversia civile conta almeno la presenza di due parti e che per ogni imputato in un processo c'è sempre una parte lesa che attende giustizia, sia o meno costituita parte civile.

Claudio Castelli in Questione Giustizia 2022 “Contro la demonizzazione dei magistrati fuori ruolo”. 

New public management, economia delle amministrazioni pubbliche, competenze informatiche e digitali etc.

Paragonare le due istituzioni non è operazione praticabile per la disomogeneità delle mission.

Questo aspetto rimarca la mancanza di quella formazione su specifiche tematiche relazionali, organizzative e di team building che, come è stato evidenziato, connotano i primi 10/15 anni di carriera dei magistrati.